DIGITALIZZAZIONE, CHE TRASFORMAZIONE?
Siamo tutti dentro una rivoluzione
Di cosa si tratta
La crescente digitalizzazione della nostra società sta imprimendo un’accelerazione fortissima: mercati, tecnologie e organizzazioni si muovono con una velocità esponenziale, sono sempre più interconnessi e diventano progressivamente luoghi di lavoro digitali. Generano tecnologie cloud intelligenti, accesso mobile 24/7 alle informazioni, decisioni basate su dati in tempo reale.
I fenomeni più visibili
-
la digitalizzazione di processi, servizi e sistemi relazionali interni ed esterni, con tutto quel che comporta dal punto di vista del cambiamento culturale
-
lo smart working e la complessiva delocalizzazione del "posto di lavoro", con l’impatto fortissimo in termini di trasformazione del rapporto persona-azienda, della leadership, di nuovi modi di lavorare, delle relazioni interpersonali, del ripensamento degli spazi fisici
-
la necessità di rendere i processi e gli scambi più snelli e l’affermazione del lavoro agile, che comporta un grande impegno in termini di snellimento dei processi, di l’accelerazione dei tempi di produzione e degli scambi di informazioni
-
un tendenza sempre più evidente all’utilizzo della robotica, che inevitabilmente concorrerà in modo importante, non solo alla trasformazione del lavoro umano, ma in diversi casi anche alla sua sostituzione
-
l’affermazione progressiva delle competenze connesse alla digitalizzazione e agli aspetti tecnologici. Ciò sta creando il paradosso della domanda di nuovi profili professionali che sono di difficile reperimento sul mercato
-
forme di lavoro collaborative con modalità open, facilitate anche da piattaforme social sempre più articolate di cui le aziende si stanno dotando. Queste piattaforme stanno sempre più rappresentando la “sede virtuale dell’azienda”.
Nuovi mindset, nuovi skills
Questa trasformazione porta al rafforzamento di una mentalità «disrupt, innovate and accelerate» di una cultura sempre più digitale e collaborativa, verso un ambiente 4.0.
Altro tema ricorrente: l’espressione “4.0” può essere percepito ancora sullo sfondo, generando la sensazione che ci sia ancora tempo. Molte organizzazioni debbono infatti ancora elaborare completamente la cultura 2.0 con tutta la digitalizzazione che ha comportato e il salto sembra ardito. Ma nei fatti questo salto è già avvenuto!
Digitalizzazione, Cloud, Intelligenza artificiale, Internet delle cose, Machine to Machine, Big Data, Analytics, Robotica….
Più o meno questo significa che i fattori tecnologici, demografici, geografici, politici, economici e sociali ad essa collegati porteranno ad alcuni cambi di paradigma, a una profonda trasformazione, alla fine di molte categorie professionali e la nascita di altre, in buona parte ancora non ipotizzabili.
I tre ambiti della digitalizzazione
In pratica, il digitale viene declinato in tre ambiti: tecnologico, re-layout degli spazi di lavoro e HR su aspetti cruciali come valori, cultura, modo di lavorare, di collaborare e gestire relazioni, leadership, delega, autonomia di ruolo, privacy, normativa, policies….
L’impegno richiesto da parte di tutti è molto forte. Si tratta di cavalcare la tigre della digitalizzazione cogliendone tutte le immense potenzialità: nella medicina, nei servizi alla persona, nella ricerca e nell’elaborazione dei Big Data.
E ancora, una profonda trasformazione nei trasporti e nella logistica, nell’automazione dei processi, nel marketing e nella gestione della relazione con il cliente, nell’education, nella finanza, nei processi di acquisto, nell’ingegneria, nei servizi di consulenza di vario tipo, nella gestione del tempo libero, ecc…
Sta emergendo al tempo stesso che tutto questo comporta inevitabilmente un aumento della disoccupazione e crea scenari inediti, che facciamo fatica a immaginare. Con prospettive di creazione e di richiesta di nuove professionalità.
Ecco che le aziende hanno la necessità imprescindibile di creare contesti “smart”, “mobile” e “collaborative” a supporto della Digital Transformation.
Le persone, non macchine
Dopo questa ondata di fenomeni dipinti spesso con entusiasmo, va detto che il focus della digitalizzazione non sono le “macchine”, bensì il cambio dei modelli decisionali, gli assetti organizzativi, lo stile di gestione e l’ingaggio delle persone, la definizione degli obiettivi, la disponibilità e la circolarità delle informazioni. In breve, si tratta di sviluppare una nuova cultura aziendale che sia agile ed efficace, in cui la strategia migliore riguarda più il “perché” e il “come” rispetto al “cosa.” E molto altro…
Digitalizzazione e trasformazione sono le parole chiave intorno alle quali ruotano come satelliti molti temi.
Le sfide dell’HR riguardano tanti fronti: i nuovi rapporti tra la persona e l’azienda, i nuovi modi di collaborare, gli aspetti organizzativi e tecnologici e quelli relativi a un ripensamento degli spazi fisici, l’eliminazione di alcuni ruoli e l’emersione di nuovi, con conseguenti esigenze di reskilling e upskilling.
Ma c’è un aspetto trasversale profondo e pervasivo della trasformazione verso la digitalizzazione, che riguarda la cultura aziendale, il mindset, il sistema di relazioni fra le persone e anche la loro capacità di comprendere profondamente i cambiamenti, di non temerli erigendo barriere difensive ma di accettarli, elaborarli e promuoverli come un’opportunità eccezionale di apprendimento.
E’ questa rivoluzione, più di ogni altro aspetto, il fattore da presidiare, monitorare e alimentare con la massima attenzione al benessere delle persone. E’ questo il vero punto: ogni cambiamento non può essere gestito con la paura, mentre può essere affrontato solo con la fiducia, l’ingaggio e la partecipazione. Non perché viene inteso e comunicato come “mandatory”, ma perché è oggetto di interesse da parte delle donne e gli uomini che scelgono di esserci. Così ogni trasformazione, per quanto dura e rischiosa, è possibile.
Gli HR debbono prestare molta attenzione a questa ondata indiscriminata in cui "digitale è bello" e "analogico è obsoleto". Primo: perché bisogna gestire 4 generazioni in azienda, di cui due non hanno una cultura digitale. Secondo: perché si rischia la deriva di digitalizzare talmente tutto che si spersonalizzano i servizi, si costringono le persone a dialogare con una macchina e non più con un operatore: tutto avviene nel silenzio, senza un'interazione. E questo contribuisce ad aumentare il senso di solitudine delle persone e i danni psichici che ne conseguono. Terzo: si sta dando importanza ai tools, alle piattaforme, alle app e si dimentica che il fine è la qualità della vita e del lavoro. Fra l'altro, si comincia ad avvertire una sorta di esasperazione delle persone nei confronti di quella che viene percepita come una tirannia digitale. L'impegno deve essere allora quello di prendersi cura delle persone, delle loro emozioni, delle loro fragilità, dei loro sogni, bisogni, linguaggi, relazioni. E a quel punto il digitale è finalmente solo un mezzo. Il fine siamo noi.