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Rubrica L’alfabeto del Cambiamento

E

come Engagement

Nel corso degli ultimi anni, le aziende hanno avuto una crescente esigenza di conoscere il clima, il “sentiment” prevalente da parte delle persone, la loro percezione dell’azienda, delle relazioni interpersonali e di gruppo.


Ma oggi tutto questo non basta: il tiro si è alzato ed è necessario anche capire se le persone si sentono ingaggiate (o se si preferisce “engaged”), a fronte di un’accresciuta complessità, di riduzioni dell’organico e a volte di stipendio, di incoerenze nell’implementazione delle strategie aziendali, di cambiamenti epocali le cui conseguenze non sono sempre ipotizzabili, di una navigazione a vista che spesso non lascia spazio a una corretta pianificazione, a una prefigurazione del futuro. Alle persone si chiede di più perché le aziende debbono dare di più.


La quasi totalità delle ricerche condotte a livello internazionale mostra che le aziende con persone ingaggiate hanno un vantaggio netto in termini di conoscenza dei bisogni del cliente, produttività e margine operativo.  Allo stesso tempo, però, la media delle persone che si definiscono “ingaggiate” si attesta intorno al 30% circa della popolazione aziendale e le organizzazioni con una forza lavoro realmente ingaggiata costituiscono solo il 13% circa del totale di quelle sondate.


Quello dell’engagement è così diventato un tema caldo per i responsabili delle risorse umane, tale da suscitare interesse anche da parte di chi è meno sensibile a certi temi e preferisce parlare di asset, di mercato, di processi, di procedure, di numeri. Ma che caratteristica ha la persona ingaggiata? E’ una persona che riesce a dare significato alle cose che accadono e che personalmente porta avanti, che si assume responsabilità verso se stessa e verso gli altri; ha autonomia, energia focalizzata, iniziativa personale, adattabilità, sforzo e persistenza nella direzione degli obiettivi aziendali, passione per il lavoro e coinvolgimento nei confronti dell’azienda. Si tratta quindi di qualcosa che va oltre la “motivazione”.


Dalle indagini realizzate, emergono alcuni valori ed elementi fondamentali su cui si basa l’engagement: coerenza, credibilità, fiducia, cultura aziendale, coinvolgimento del vertice.  Emerge anche la grande importanza del rapporto capo-collaboratore; ad esempio, emerge come il rapporto con il capo sia per la persona una delle motivazioni principali per lasciare l’azienda. Ma quanto i capi hanno realmente a cuore le proprie risorse? Domanda legittima, a giudicare da una tendenza in atto da qualche tempo: “assegno gli obiettivi, prendo dalla risorsa quello che mi serve ora e poi la metto da parte”. A fronte di pressioni crescenti, si tende in sostanza a orientare il rapporto sui risultati di breve periodo, e con minore – a volte bassissima - attenzione alla valorizzazione delle caratteristiche e – ancor più - del potenziale di ciascuno.


Motivare e ingaggiare significa per un capo trasmettere la propria visione rispetto alle iniziative che intende promuovere, anche laddove è difficile capire quali sono le strategie dell’Azienda, impegnandosi a sviluppare senso e significato all’interno del suo perimetro di presidio e di influenzamento. Questo aiuta ad alimentare la fiducia e, poiché un Engaging Leader è colui che gode della fiducia, del consenso e dell’alleanza dei propri collaboratori, ciò consente di coinvolgere, pianificare, assegnare più agevolmente gli obiettivi e raggiungere i risultati.


Cosa fare in concreto per sviluppare maggiore engagement? L’esperienza insegna che lavorare con i capi sulla cultura aziendale è fondamentale; vanno coinvolti in modo diretto i ruoli chiave e le persone che si sentono più ingaggiate. Va coltivata una comunicazione circolare, facendo in modo che le persone non sostituiscano una comunicazione istituzionale assente o ambigua sviluppando voci di corridoio ma, piuttosto, si facciano portavoci e ambasciatori di messaggi condivisi. Come fare? Anche qui l’esperienza dimostra l’utilità di costruire contesti che consentano alle persone di essere ascoltate e di ascoltarsi fra loro (un bisogno sempre più sentito), con eventi, strutturazioni di community, con strumenti integrati che vengono messi a disposizione perché le persone condividano e collaborino. E’ opportuno individuare e condividere modelli di comportamento, adottare nuove prassi che siano più funzionali, favorire la mobilità interna e l’assegnazione di compiti percepiti come arricchenti sul piano professionale e personale.  Laddove è possibile, si può fare una verifica sulla qualità del manager in termini di engagement, anche collegandola al sistema di valutazione delle prestazioni.


Bisogna fare in modo che le persone ritrovino il gusto di partecipare, integrarsi, parlare, scambiarsi informazioni ed emozioni, sentirsi alla pari, ritrovare e condividere i valori dell’azienda, capire che insieme si possono realizzare attività utili, produttive e interessanti. Prestare attenzione alle emozioni che le persone vivono è fondamentale. L’engagement si crea quando la persona sente l’azienda vicina, quando si crea un contatto con le aree affettive, emotive, con i valori, e questo accade solamente se l’azienda dimostra di fare altrettanto. L’azienda che crea infelicità non ha futuro. L’azienda fondata su valori realmente agiti è di per sé orientata all’engagement, al benessere e al futuro.


La valorizzazione dei casi di successo e delle best practices aziendali è un aspetto molto apprezzato, funzionale a creare spirito di squadra. È utile anche valorizzare le iniziative sociali e coinvolgere i dipendenti con incontri di tipo più informale, in cui dirigenti, manager, capi e collaboratori vengono messi sullo stesso piano e possono integrarsi.
Si tratta di un impegno costante, un investimento che vale assolutamente la pena di essere portato avanti. I risultati difficilmente si faranno attendere, rinforzando la fiducia in un cambiamento in positivo. Si può fare, l’importante è non mollare.

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