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La crescita del  Mentoring

Utilizzare una preziosa leva di sviluppo

 

 

Ieri e oggi

 

Nel 2016 scrissi un articolo sul Mentoring con Renato Boccalari pubblicato sulla rivista Sviluppo & Organizzazione, dove veniva evidenziata l’importanza strategica del Mentoring sulla base di studi e della nostra esperienza con casi aziendali di successo.

 

Da allora molte cose sono accadute e, sia pur con una certa lentezza, le aziende hanno compreso sempre di più, come noi ci auguravamo, il ruolo importante di questa leva di sviluppo delle persone, knowledge sharing e gestione del cambiamento.

 

Quello che in sintesi emergeva dal nostro articolo era che il tema della governance del Mentoring è tendenzialmente “organization driven” e “top down” perché nasce dall’esigenza dell’azienda di indirizzare gli interventi di Mentoring e gli investimenti là dove possono produrre in prospettiva maggior valore per le persone, per l’organizzazione e per il business.

 

Ma stava emergendo (in particolare negli Stati Uniti) in parallelo una tendenza interessante rispetto all’approccio che possiamo definire “tradizionale”, e cioè che l’attenzione si stava spostando dal Mentor al Mentee, che affronta e gestisce la propria carriera, il proprio progetto di vita e professionale in modo sempre più autonomo. 

 

L’altra tendenza era il passaggio da una relazione esclusiva tra Mentor e Mentee a una rete di relazioni multipla e multitasking: altre figure, ognuna caratterizzata da una specifica competenza, che possono essere chiamate a fornire il proprio supporto e consiglio in determinati momenti e per decisioni diverse, esattamente come accade attorno al tavolo di un board aziendale.

 

Ciò vedeva il Mentoring all’interno di reti collaborative, di “costellazioni”, con un soggetto che costruisce il proprio sviluppo e la propria carriera trasversalmente ai job e alle aziende che li offrono.  Nella mobilità del lavoro, questo attribuiva al Mentoring il significato di uno strumento di crescita in mano al Mentee che progetta e sviluppa la propria carriera attraverso più aziende e più mestieri differenti fra loro.

 

Come nel Tour of Duty - scrivevamo - viene meno il principio di un impiego e di una mansione stabile: il lavoro viene visto come una serie di task e di progetti: l’azienda e la  persona si accordano sugli obiettivi e su quello che la persona deve portare a casa, per sé, per la sua professionalità e per l’azienda.

 

Alla fine si tirano le somme e se c’è un comune interesse si riparte per un altro progetto, “surfando” da un’esperienza a un’altra, fintanto che i due partner hanno qualcosa da dirsi e da fare insieme, ma senza “obblighi” formali o vincoli di qualche natura.

 

 

Il senso e l’utilità

 

Questa prospettiva – che sono certa si manifesterà sempre più anche in Italia - si collega a una questione importante per l’azienda: come intercettare e curare le motivazioni, le aspirazioni professionali e le competenze dei talenti.

 

A distanza di 5 anni si continua a parlare molto di talent retention, ma altrettanto di valorizzazione degli Over 50, vedendo il talento, anzi, i talenti, come un patrimonio prezioso, disperso nell’organizzazione, che prescinde dall’età, dal livello di seniority e di responsabilità.

 

Ciò è dovuto principalmente alla compresenza di 5 generazioni e alla longevità  della vita lavorativa. E’ anche dovuto al tema del trasferimento di competenze preziose e della necessità di condividere la conoscenza, soprattutto nel caso di persone che lasciano l’azienda, anche per il pensionamento, senza possibilità di riversare il proprio know how ai colleghi e passare il testimone a fine carriera. Una dispersione inaccettabile.

 

Da considerare anche che l’isolamento creato inevitabilmente dal lavoro in remoto acuisce il bisogno delle persone di scambiarsi pareri, esperienze, punti di vista, con quell’informalità che ha spesso caratterizzato la vita organizzativa: oltre che nelle riunioni, ci si incontra nei corridoi, negli angoli ristoro, a pranzo: in queste occasioni possono nascere idee, progetti, collaborazioni.

 

C’è anche il tema della crescente precarietà del lavoro: anche coloro che teoricamente non dovrebbero avere problemi in questo senso, si pongono qualche dubbio e dicono: speriamo che vada tutto bene…  Il timore del licenziamento è molto più presente nei pensieri della gente.

 

A questo si aggiunge l’emersione della necessità di valorizzare la diversità, l’inclusione, la leadership femminile.  Più in generale, una leadership diffusa orientata alla cultura della relazione, del crescere insieme.

 

C’è un’accresciuta sensibilità al tema della cura delle persone.  I tempi incredibili che stiamo vivendo hanno destabilizzato la società e le organizzazioni, è aumentata l’ansia, l’incertezza, la tensione, il senso di solitudine. L’incertezza è molto alta, si è indebolita la prospettiva di un futuro credibile ed è diminuita la fiducia.

 

Soprattutto dopo l’avvento del lavoro in remoto, sta emergendo la necessità di non alimentare il lavoro per silos e di guadagnare terreno verso logiche collaborative diverse e un senso del “Noi” ritrovato. 

 

Occorre stare più vicino alle persone, ascoltarle e dare loro le opportunità per sentirsi parte di una comunità che si raccoglie intorno a valori condivisi, che dà protezione e supporto, indirizzo, che crea beneficio diffuso. Occorre fare ciclicamente motivation review, colloqui individuali e dare seguito concretamente, fare upskilling e reskilling per competenze a rischio di obsolescenza, ridefinendo contenuti di ruolo, obiettivi e traguardi.  Il Mentoring – come anche il Coaching - si presta bene a tutte queste necessità.

 

Il Mentoring in pratica

 

Nella mia esperienza, il Mentoring rappresenta un processo di ispirazione e trasformazione che si svolge all’interno di una relazione - prevalentemente duale - di aiuto, consiglio, apprendimento e scambio tra una persona con maggiore esperienza manageriale e/o tecnico-specialistica e una figura desiderosa di apprendere e sviluppare un progetto professionale e personale.

 

Si tratta di una relazione molto ricca – professionalmente e sul piano umano - che si articola in cinque dimensioni fondamentali: trasmettere saperi, condividere esperienze, affiancare, dare l’esempio, dare supporto emotivo, ispirare.

 

Il percorso deve prevedere una fase di scouting per identificare i mentori e i mentee, un’attenzione particolare alla formazione delle coppie, un momento di apertura del progetto per informare, formare e ingaggiare le persone. Il percorso si svolge attraverso le sessioni a due e gli incontri di affiacamento e coinvolgimento per generare ulteriore valore. Infine, nel momento di chiusura del percorso si condividono le best practices e si celebrano i risultati.

 

Gli obiettivi del Mentoring debbono essere monitorabili attraverso key indicators – di tipo hard e soft - che le coppie individuano insieme ai capi di linea e al tempo stesso con un elevato grado di autonomia. Ciò non solo per gli specifici obiettivi di crescita individuale, ma anche per l’evoluzione della cultura, delle competenze distintive aziendali e del business.

 

L’utilizzo del Mentoring necessita sempre di un commitment organizzativo e individuale.   Nel caso di progetti di una certa complessità oppure poco strutturati, è importante che esista una buona sponsorship del vertice e dei capi di linea. E’ altrettanto importante che gli attori direttamente coinvolti possano fare propri la cultura, il senso e la funzionalità della Mentorship, gestendo al meglio i vincoli individuali e organizzativi che possono facilmente emergere durante il percorso (ad esempio: la mancanza di tempo, gli imprevisti, ecc.), facendo un patto, condividendo un metodo, un approccio e un linguaggio comune.

 

È quindi bene ragionare su una leadership condivisa, dove Mentor e Mentee sentano di “prendere in mano” il progetto di sviluppo con senso di autodeterminazione, di sfida e di totale alleanza.  È utile anche valorizzare iniziative che coinvolgano le persone con incontri di tipo più “informale”, in cui capi di linea, Mentor e Mentee vengano messi sullo stesso piano e possano stimolarsi a vicenda parlando del “perché” e del “come” del Mentoring. Infine, va monitorata periodicamente e a vari livelli la qualità percepita (da capi, colleghi, clienti) delle azioni di sviluppo del Mentoring.

 

Un progetto di Mentoring può avere caratteristiche di pilota che, una volta portato a regime, può consentire all’azienda di dotarsi di un sistema, non solo di trasferimento e condivisione di competenze esplicite, ma anche di emersione della conoscenza tacita, tanto da rappresentare un laboratorio permanente. Con il Mentoring si cresce insieme.

In genere, dai feedback che le coppie forniscono durante e dopo il percorso, emerge entusiasmo e un indice di soddisfazione molto alto. Per la qualità degli abbinamenti, per le conversazioni stimolanti, per la ricchezza del percorso e per i risultati raggiunti.

 

E’ inoltre interessante constatare che dai momenti di confronto fra le varie coppie emergono iniziative spontanee di peer coaching e anche di group coaching, che creano le premesse di team di progetto: è l’espressione autentica di come, attraverso l’ingaggio in una esperienza di valore, le persone riescano a liberare la loro energia contaminando positivamente il loro ambiente e diventando così i migliori ambasciatori del Mentoring in azienda.

 

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