Strategic Mentoring: un nuovo metodo per creare vantaggio competitivo
di Renato Boccalari e Rossella Martelloni
Sviluppo & Organizzazione, aprile 2016
[…] Negli ultimi 20 anni la pratica del Mentoring si è diffusa in modo sempre più ampio e diversificato, sia all’interno delle organizzazioni aziendali sia in altri mondi e settori, come il Non Profit, l’Ospedaliero, la stessa Istruzione.
Ma se la pratica si diffonde, la consapevolezza del suo ruolo strategico ha ancora un po' di strada da fare. Le esperienze si moltiplicano, ma l’attenzione ad organizzarle e gestirle in sintonia con il vero valore della posta in gioco rimane piuttosto bassa.
Mentre sempre più professionisti delle Risorse Umane sono coinvolti nella gestione di questa leva chiave per la continuità manageriale e la retention dei talenti, a volte si vedono da parte della funzione HR approcci “minimalisti”, più attenti a non distrarre i capi di linea dalla loro operatività che a perseguire le vere condizioni di successo dell’intervento.
Anche da parte del management e del top management, a volte si sottovaluta l’importanza del tempo dedicato a questa attività strategica per il futuro dell’azienda, altre volte non si tengono nel dovuto conto la motivazione e le capacità che essa richiede per essere svolta con reale efficacia.
L’analisi dei cambiamenti nello scenario competitivo e delle storie di successo delle aziende che li hanno saputi meglio interpretare ci racconta invece che il Mentoring è diventato una leva di competitività, un vero e proprio core process, fondamentale per la continuità e la distintività nel business.
Si può leggere la biografia di Steve Jobs quando, a proposito della sua ossessione per l’estetica e l’esperienza tattile del prodotto, racconta che questa passione gli fu trasmessa dal primo Amministratore Delegato della Apple, Mike Markkula: “E’ stato Mike a insegnarmelo”.
A fronte di questo “dato di fatto”, scritto in molte storie di successo, sia aziendali sia di grandi leader, il panorama delle esperienze di questi ultimi anni, al di là del moltiplicarsi degli interventi e dell’estendersi dei campi di applicazione, soffre di due gap fondamentali:
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Un “gap strategico”, di consapevolezza del ruolo del Mentoring per il successo nel Business
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Un “gap gestionale”, di consapevolezza dell’importanza della governance complessiva del processo e dei suoi risultati, per le persone e per il business.
Per dare il nostro contributo a riallineare l’”as is” dell’esistente al “to be” che impongono i tempi, cerchiamo di rispondere, anche sulla base delle più recenti e concrete esperienze, a due interrogativi fondamentali:
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Perché oggi il Mentoring costituisce una leva strategica per la competitività aziendale?
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Cosa ne determina l’efficacia e l’utilità, non solo per gli attori coinvolti ma anche per il Business aziendale?
Per ognuno di questi interrogativi cerchiamo di rispondere riportando:
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La “reason why” e le “condizioni di successo”, da cui dipende l’aggancio strategico delle iniziative e il valore generato per tutti gli “attori” in gioco
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Gli “errori da evitare” per non cadere nella perdita di efficacia e di credibilità delle iniziative
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I “casi di successo”, ricavati da alcune delle più recenti esperienze realizzate da aziende leader, sia nel business sia nella gestione dello Human Capital.
Partiamo dalla prima domanda:
Perché oggi il Mentoring costituisce una leva strategica per la competitività aziendale?
La “reason why” fondamentale nasce da quattro trend di scenario, che spostano le fonti del vantaggio competitivo sui fattori “soft”, rendendo il Mentoring una vera e propria leva strategica:
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La continua innovazione richiesta dall’evoluzione tecnologica e di mercato è sempre più legata alle Core Competencies, a fattori “soft” come il talento ed il know how, che diventano la vera fonte di distintività e differenziazione.
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Il passaggio From Capitalism to Talentism (World Economic Forum, Davos 2013). Ovvero, la fonte del vantaggio competitivo non sarà più l’accesso alle risorse finanziarie, ma l’accesso a quella risorsa che si chiama istruzione, superiore preparazione scolastica, competenze rare, talento individuale, a patto però che ci sia qualcuno in azienda capace di plasmarla e di svilupparla.
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La crisi finanziaria del 2008, che ha messo definitivamente in crisi la relazione di scambio puramente economico e reso indispensabile un nuovo contratto psicologico, in cui la “moneta di scambio” fra persone e azienda diventa l’ingaggio personale e la spinta individuale all’autosviluppo ed alla crescita professionale
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La crisi del Welfare europeo, che da un lato allunga la permanenza in azienda degli Over 55, ma dall’altro crea anche l’opportunità di valorizzare la crescente Age Diversity, di trarre letteralmente valore dalla convivenza in azienda di popolazioni che vanno dai 25enni agli over 60enni.
Se questo è lo scenario, che sposta le fonti della creazione di valore e della competitività trasversalmente ai settori industriali e di servizi, stiamo riconoscendo che la cultura, le competenze e i valori di un’azienda non sono più una variabile dipendente e secondaria, ma la fonte primaria del vantaggio e dunque della stessa strategia competitiva e che il Mentoring diventa un Core Process di business.
Gli “errori da evitare”, che potremmo definire di vera e propria “miopia strategica”, si possono cogliere dalle abitudini e dalle modalità più frequenti nell’affrontare questi interventi:
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Non legarli alla comprensione della cultura aziendale, alle sue caratteristiche distintive ed alle necessità di proteggerla e nel contempo farla evolvere
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Offrire il Mentoring come opportunità di sviluppo individuale, senza un aggancio organico al Business ed ai processi HR
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Focalizzare il Mentoring solo come supporto ai piani di successione alle posizioni manageriali, ignorando il piano della cultura e del know how professionale, che in business sempre più “Knowledge intensive” diventa la vera chiave del successo dell’azienda
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Considerare e trattare il Mentoring come un’opportunità rivolta a “pochi eletti”, una leva di solo sviluppo individuale e a disposizione del singolo, senza un aggancio organico con la vision e la pianificazione strategica dei processi di acquisizione e crescita dall’interno delle competenze e dei talenti richiesti dall’evoluzione del business.
I “casi di successo” che abbiamo avuto modo di osservare nel recente passato e che in alcuni casi sono in fase di svolgimento, ci consentono di cogliere invece alcuni punti di attenzione che, se ben messi a fuoco e gestiti, fanno la differenza fra un intervento riuscito e uno fallito, che getta dubbi e incertezze nelle risorse e nel management coinvolto.
Nei riquadri riportiamo due esperienze in particolare, articolando il racconto sulla risposta a queste domande fondamentali:
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Qual era l’esigenza e l’obiettivo?
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Cosa è stato fatto e come?
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Quali sono stati i punti di attenzione che hanno determinato il successo?
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Quali risultati si sono ottenuti?
Uno dei Leader mondiale nei Gas tecnici
Ha una politica di nomina a Technical Career Leader nei confronti di manager e persone riconosciute detentori di Know how strategici
In Italia si è deciso di andare oltre, di valorizzare e di mettere a frutto questo, che è solo un titolo, avviando un programma di Mentoring, con l’obiettivo di trasferire e diffondere know how chiave per l’azienda e di valorizzare il ruolo di queste figure di grande spessore professionale
Si è avviato il programma di Mentoring e alcune accortezze ne stanno decretando il successo: la grande attenzione ai temi e alle competenze strategiche per il futuro del business, che ha guidato la scelta dei Mentori da coinvolgere; la grande attenzione alle coppie di Mentor e Mentee, sia sul piano del “contenuto” da trasmettere, sia della “relazione”, e la conseguente attenzione alle condizioni che possono far scattare una “chimica” positiva; il coinvolgimento diretto dei Mentor in un workshop in cui, oltre a ricevere un “Book” di supporto alla conduzione dei colloqui e al “tracking” del percorso, hanno individuato tutti insieme le possibili domande ed esigenze del Mentee e le possibili risposte.
Il leader italiano delle telecomunicazioni e di Internet, che ha introdotto in Italia la fibra ottica
Ha inserito fra le leve di riconoscimento del nuovo sistema di Performance Management il Mentoring, come offerta di sviluppo rivolta a persone con potenzialità, che devono crescere sul piano delle competenze manageriali.
Il successo e l’apprezzamento diffuso per questo programma nasce soprattutto da un’accurata analisi nella scelta delle coppie di Mentor e Mentee e dalla scelta di focalizzarlo sullo sviluppo delle capacità manageriali e core richieste non solo dal sistema di Performance Management, ma dalla stessa strategia aziendale. Anche il monitoraggio dello svolgimento del percorso e l’attenzione a tenere traccia e a valutare i risultati e la crescita manageriale reale delle risorse hanno concorso ad aumentare l’impegno delle coppie coinvolte e a consentire alla funzione HR di dare al top management una visibilità del ritorno dell’investimento di tempo e di risorse dedicato.
E veniamo alla seconda domanda:
Cosa determina l’efficacia e l’utilità del Mentoring, non solo per gli attori coinvolti ma anche per il Business aziendale?
Prima di rispondere, condividiamo la definizione di Mentoring che proponiamo qui sotto
Definizione di Mentoring
“Un processo di ispirazione e trasformazione, che si svolge all’interno di una relazione – prevalentemente duale - di aiuto, consiglio e apprendimento, tra una figura più esperta in un determinato campo e una figura desiderosa di crescere personalmente e professionalmente. I risultati di creazione di valore devono essere misurabili, sia per tutti gli attori coinvolti, sia per la continuità e l’evoluzione della cultura e delle competenze distintive aziendali”.
Riprendendo gli studi di autori come Ensher e Murphy (2005), concordiamo sul fatto che il Mentoring è una relazione complessa, non solo professionale, ma olistica, che si articola in tre dimensioni fondamentali: trasmettere sapere, dare supporto emotivo, ispirare e costituire un esempio per il Mentee.
Messa in premessa questa definizione, che trasforma il Mentoring in un processo consapevole e strutturato di sviluppo integrato della cultura aziendale e dei talenti individuali, il secondo contributo è rivolto a individuare le condizioni che rendono effettivamente operativo, efficace e misurabile questo Core Process.
Nella nostra esperienza e secondo le nostre riflessioni, per introdurre con successo la leva del Mentoring, occorre progettare e introdurre un sistema che presidia e integra tre livelli e dimensioni del processo complessivo:
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La Governance strategica
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Il processo di gestione ed erogazione
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La Relazione interpersonale e di apprendimento tra Mentor e Mentee.
Qui di seguito trattiamo ciascuna delle tre dimensioni, per poi fare alcune riflessioni più complessive.
La Governance strategica
Va detto innanzitutto che Il tema della Governance del Mentoring è “Organization Driven” e “top down”. Nasce dall’esigenza dell’azienda di indirizzare gli interventi di Mentoring, i relativi costi e investimenti là dove possono produrre in prospettiva più valore per il Business. Ma esiste anche tutto un versante squisitamente individuale, che caratterizza i trend emergenti e che tratteremo nell’ultimo paragrafo.
Lo schema rappresentato in Fig. 2 evidenzia il legame strettissimo del Mentoring con la cultura aziendale e con la sua evoluzione, viste come leva di differenziazione competitiva. Qui il Mentoring gioca due ruoli fondamentali:
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La relazione del giovane talento con il senior ha lo scopo di conservare e trasmettere i “cromosomi”, il “codice genetico” della cultura aziendale, che fanno di quell’azienda qualcosa di unico e speciale.
In questa prospettiva, il Mentoring svolge una funzione di “conservazione” positiva e che si estende ai valori fondanti e dunque assume anche un ruolo “etico”: il bravo Mentore è quello che trasmette al giovane anche il codice etico del ruolo o della professione, e il gusto di farlo proprio.
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In uno scenario competitivo di continuo cambiamento, la relazione di Mentoring deve far scaturire dal confronto e dallo stimolo reciproco la scintilla del ripensamento di ciò che “si è sempre fatto così” e dunque dell’innovazione. E qui il Mentoring non svolge un ruolo “conservativo”, bensì evolutivo a tutti gli effetti, essenziale per mantenere e rigenerare l’azienda.
E’ questo ossimoro di “conservazione ed evoluzione” che rende la pratica del Mentoring produttiva di valore per tutti gli attori coinvolti. Si evidenzia l’opportunità di articolare il Mentoring in due processi fondamentali, differenziati ma nell’insieme finalizzati a dare continuità e a fare evolvere la cultura e le competenze chiave aziendali:
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I percorsi di Mentoring manageriali, finalizzati a far crescere i leader del futuro con l’aiuto dei leader di oggi e che hanno come aggancio strategico il profilo di leadership richiesto dall’evoluzione del business.
Secondo la nostra esperienza, per il successo di questi interventi è essenziale definire il profilo di Leadership in relazione ai cambiamenti di scenario e di mercato, e ottenere il committment del vertice attraverso il suo coinvolgimento nella lettura di questa evoluzione della strategia e degli impatti sulle qualità manageriali necessarie.
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I percorsi di Mentoring professionali, finalizzati a trasmettere il “saper fare organizzativo”, non solo tra le vecchie e le nuove generazioni, ma soprattutto fra pari, agganciati al portafoglio strategico delle competenze, dei know how core attuali ed emergenti.
Il portafoglio delle competenze distintive va definito, con il coinvolgimento dei knowledge owner interni ed esterni e del top, attraverso un’analisi prospettica dei piani di business, delle scelte tecnologiche e di mercato e delle loro ricadute sulle Risorse Umane, i tipi di talenti e di competenze prospetticamente necessarie.
Quanto lo “stato dell’arte” dei sistemi HR si avvicina oggi a questa architettura strutturata e a una visione integrata? Quanto assomiglia alla rigorosa prospettiva di un quadro del Mantegna, piuttosto che a un quadro di un pittore dadaista, dipinto in una notte popolata da incubi? Lasciamo ai professionisti HR, ai manager e alle persone che vivono in azienda giudicare sulla base della loro esperienza ed emettere la non troppo “ardua sentenza”.
Veniamo all’ultimo “collante” strategico, quello più soft ma più robusto: lavorare con i capi e diffondere in azienda la cultura del Mentoring è fondamentale. L’integrazione dell’approccio top-down e bottom-up, la condivisione, il “dare voce alle persone” sono aspetti fondamentali, in modo da attivare un progetto culturale che si possa articolare “a cascata” partendo dal Board, dal Top Management.
Bisogna fare in modo che le persone sentano il gusto di partecipare, di scambiarsi informazioni, esperienze ed emozioni, di ritrovare e condividere i valori dell’azienda, di capire che insieme si possono realizzare progetti utili e interessanti. Il Mentoring funziona quando la persona (sia il Mentor, sia il Mentee) sente l’organizzazione al centro di sé, quando si crea un contatto con le aree emotive, a livello valoriale, e questo accade se l’organizzazione dimostra di fare altrettanto. L’azienda fondata su valori realmente agiti è di per sé orientata al Mentoring.
E’ quindi opportuno lavorare sullo sviluppo di una cultura del Mentoring con:
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la comunicazione, il coinvolgimento e la condivisione
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la formazione di ultima generazione
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l’autosviluppo.
L’utilizzo del Mentoring presuppone sempre un commitment organizzativo e individuale. Anche nel caso di progetti di Mentoring relativamente poco strutturati, l’importante è che esista una buona sponsorship del vertice. E’ importante che gli attori direttamente coinvolti possano fare propri la cultura, il senso e la funzionalità della Mentorship, gestendo al meglio i vincoli individuali e organizzativi che possono facilmente emergere, condividendo un metodo, un approccio e un linguaggio comune.
È quindi bene ragionare su uno stile di leadership condivisa, dove Mentor e Mentee sentano di “prendere in mano” il progetto di sviluppo con senso di autodeterminazione, di sfida e di totale alleanza. È utile anche valorizzare iniziative che coinvolgono le persone con incontri di tipo più “informale”, in cui capi di linea, Mentor e Mentee vengano messi sullo stesso piano e possano integrarsi parlando del “perché” e del “come” del Mentoring. Infine, va monitorata periodicamente e a vari livelli la qualità percepita (da capi, colleghi, clienti) delle azioni di sviluppo del Mentoring.
Da considerare infine che un progetto di Mentoring può avere caratteristiche di pilota che, una volta portato a regime, può consentire all’Azienda un sistema, non solo di trasferimento e condivisione di competenze esplicite, ma anche di emersione della conoscenza tacita, tanto da rappresentare un Laboratorio permanente.
Il Processo di gestione ed erogazione
Nella nostra esperienza con le aziende, nella realizzazione degli interventi emergono alcuni punti critici, da cui dipende il valore e l’apprezzamento di un intervento di Mentoring.
A volte si adottano iniziative per le quali si pensa di avviare il programma con una formazione di mezza giornata per i Mentor, che vengono dotati di un manuale di “istruzioni per l’uso” e questo pare sufficiente per partire con il percorso e con i colloqui.
A questo proposito, va fatta chiarezza sulla differenza fra la relazione di Mentoring che possiamo definire “naturale” e quella “organizzativa”: nella relazione “naturale” Mentore e Mentee si cercano e si trovano in qualche modo spontaneamente (quasi sempre per iniziativa del secondo), creano istintive relazioni di fiducia e di stima, che non hanno bisogno di essere sollecitate e che fanno da base al rapporto di ispirazione e di “insegnamento”.
Viceversa, in un programma formalizzato, le relazioni, la fiducia, lo scambio, l’apprendimento richiedono, se non di essere “costruiti”, di ricevere almeno un terreno di coltura adeguato. Ecco dunque l’importanza di dare struttura e metodo al percorso e di non limitarsi, come troppo spesso accade, a presidiare solo alcuni aspetti, ad esempio la sola formazione iniziale.
Qui di seguito riportiamo le fasi fondamentali di quello che nella nostra esperienza è un processo di Mentoring ben strutturato, riportate anche nello schema di Fig. 3:
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Il disegno del processo e delle sue fasi fondamentali
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La definizione del profilo di Mentor
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La scelta dei candidati
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L’abbinamento delle coppie di Mentor e Mentee
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La definizione dei ruoli degli “stakeholders”
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La formazione iniziale
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La comunicazione agli interessati
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L’accompagnamento ed il monitoraggio durante il percorso
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La valutazione e la celebrazione dei risultati.
Sarebbe troppo lungo descrivere in dettaglio tutti i punti di attenzione che possono segnare la differenza fra il successo e il fallimento di un programma, ma alcuni più importanti li vogliamo ricordare: innanzitutto, partire da una descrizione del profilo del Mentor che non consideri solo le sue responsabilità, ma soprattutto le sue capacità e motivazioni a calarsi nel ruolo.
Poi e sempre per le stesse ragioni, l’attenzione nella scelta dei candidati, accompagnata da una franca verifica della reale motivazione e disponibilità personale a spendersi nel ruolo. Anche l’abbinamento delle coppie di Mentor e Mentee, aspetto a volte trascurato, è in realtà molto importante: la relazione di Mentoring è anche, se non soprattutto, un fatto di “chimica” che deve scattare, sia nei rispettivi stili di trasferimento e apprendimento delle competenze, sia nella relazione interpersonale.
Altro aspetto fondamentale è quello di uscire dalla logica del “un po’ di formazione iniziale”, per passare a un approccio di accompagnamento complessivo, sia pur discreto ma vigile, da parte della Funzione HR, durante il percorso. Sia il Mentor, sia il Mentee, devono sapere che all’occorrenza c’è qualcuno in grado di fornire il supporto necessario.
Non parliamo di interventi diretti, che minerebbero la spontaneità della relazione che si crea nel percorso, ma ad esempio della possibilità, in particolare per i Mentor, di avere degli spazi e dei momenti per incontrarsi durante lo svolgimento del percorso, per scambiarsi esperienze, modalità di rispondere alle domande del Mentee o di aiutarlo a trovare la sua strada.
Quello del Mentor non è il ruolo abituale dei manager che si prestano a questo compito, e creare per loro una “Community” che si confronta e si supporta vicendevolmente diventa un modo per sostenere anche il loro apprendimento e la loro stessa crescita, manageriale e personale.
Infine, per potersi definire un “core process”, un percorso di Mentoring deve impegnare i protagonisti nel “tracciare” e valutare i risultati di apprendimento e crescita personale e professionale dell’interessato, mettendo in condizione i due di scambiarsi feedback in modo trasparente, sulla capacità reciproca di assorbire contenuti, esperienze, competenze, valori di fondo.
Questo apre una finestra sul “cuore” della relazione di Mentoring, che è innanzitutto
una relazione di fiducia, consiglio e supporto, di ispirazione e generazione di apprendimento. In un contesto aziendale ed organizzativo non può essere lasciata al solo intuito, alla disponibilità ed alla capacità individuale del singolo Mentor. Va coltivata, strutturata e “organizzata”.
Perché abbiano successo e generino valore, le attività del processo di Mentoring devono essere caratterizzate da progettualità, relazionalità, condivisione, concretezza e orientamento al risultato.
Questi i punti fondamentali di un Mentoring Action Plan, riportati anche nel grafico di fig. 4:
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Affidamento e patto di alleanza tra Mentor e Mentee
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Definizione dei bisogni, degli obiettivi e verifica dell’Engagement
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Individuazione delle modalità di supporto, comunicazione, apprendimento, trasferimento di know how, sistema di feed back
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Definizione delle attività e della tempistica del percorso
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Affiancamento, trasferimento e supporto
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Monitoraggio degli aspetti contenutistici e relazionali
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Verifica del livello di crescita del Mentee: commitment, contenuti, relazione, potenzialità/opportunità
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Check points e milestones: valutazione in itinere, affinamento e riallineamento
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Output e feed back finale
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Verifica di nuove eventuali esigenze di sviluppo del Mentee
All’interno di queste fasi del processo (che possono essere gestite con un buon margine di flessibilità), va garantito sempre un bilanciamento tra contenuto e relazione, in modo che l’apprendimento, asse portante del progetto, venga arricchito quanto più possibile da elementi fluidificanti che consolidino il patto fra le due figure coinvolte.
E’ importante che le sessioni di Mentoring vengano percepite come momento di liberazione di energia e di idee, tanto da favorire spunti per l’innovazione di contenuto, di prodotto, di processo. Il percorso di Mentoring va facilitato attraverso l’uso di alcuni tools. E precisamente:
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Un Mentoring Book, ovvero un Diario di Bordo, dove Mentor e Mentee possano appuntare ciò che accade durante il percorso
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Una check list per il colloquio iniziale e per i colloqui durante il percorso, per fornire un driver al Mentor e al Mentee riguardo all’approccio consigliabile, agli step da seguire, al come gestirli, alle domande da fare, a come monitorare contenuti e relazione
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Uno schema per condurre un’intervista di rilevazione di competenze. In questo senso, può essere un buon riferimento il metodo S.T.A.R., che stimola il Mentee a un confronto su una situazione che ha sperimentato, sul compito che ha svolto, sulle azioni che ha intrapreso e sulla verifica che ha fatto
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Un modello per meglio identificare lo stile di apprendimento del Mentor e del Mentee e sintonizzarsi su un metodo efficace per entrambi. Il modello di Kolb può costituire un primo punto di riferimento
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Un piano di azione individuale, contenente sezioni dedicate alle aree di miglioramento e alle opportunità da cogliere, perché, entro quando, in che modo e con quali risorse
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Una scheda delle azioni di sviluppo (prima, durante e dopo il percorso), che possano dare chiarezza e fornire un quadro di sintesi dei vari aspetti
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Un timing del progetto, con le milestones e le deadline previste (nei casi più strutturati un vero e proprio GANNT), che aiutino ad avere il quadro complessivo della scansione temporale del progetto.
L’osservazione di molte delle esperienze viste negli ultimi ann i evidenzia il ripetersi di alcuni “errori” più frequenti, che possono minare la credibilità dell’iniziativa e ridurne il respiro:
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Dare solo un minimo supporto di formazione iniziale, non accompagnando gli interessati nel percorso complessivo
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Investire e preparare solo il Mentor, investendo poco o nulla sui Mentee e talvolta bypassando i capi diretti
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Limitarsi a fornire un succinto manuale di supporto, che viene consegnato al futuro Mentore come unico viatico per affrontare la nuova sfida e il compito di trasmettere competenze, cultura e “saggezza” organizzativa accumulate in una vita di lavoro.
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Porsi poco il problema della misura dei risultati e del loro impatto sul business
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Vedere il Mentoring come una relazione a una via, dal Mentor al Mentee, anziché di valore e sviluppo per entrambi e per la cultura aziendale.
I “casi di successo” che abbiamo avuto modo di osservare e a cui abbiamo contribuito nel recente passato sono riportati in due prospetti. Essi evidenziano l’importanza di un attento lavoro di supporto e di coinvolgimento attivo dei manager coinvolti, non solo nella fase di avvio del percorso, ma in tutto il suo svolgimento, facendo anche leva sul gruppo e sullo spirito di “comunità professionale”, sia fra i mentori, sia nella relazione fra Mentor e Mentee, attraverso la creazione di scambio reciproco e stimolo all’innovazione.
Uno dei leader globali nelle sementi e nei prodotti per il miglioramento delle colture agricole
Ha realizzato un programma di Mentoring rivolto a risorse con potenziale e focalizzato sulla crescita delle capacità manageriali, non replicando ma adattando la politica e gli strumenti di supporto alle esigenze del contesto e del management italiano.
Il percorso mira a dare una risposta e a dare un segnale di attenzione e di investimento a risorse importanti per l’azienda, ma non direttamente coinvolte nei percorsi di carriera internazionali, rivolti a ristretti target di “High Flyer”. L’efficacia dell’intervento nasce innanzitutto dal coinvolgimento di un management locale sensibile e disponibile, per farne uno strumento di crescita e di retention “intangibile” dei più giovani. Da qui l’idea vincente di coinvolgere tutta la prima linea manageriale nel ruolo di Mentore, ancorché verificandone la necessaria motivazione e propensione. Il workshop di formazione iniziale ha poi consentito all’intero gruppo di entrare nel ruolo, lavorando ad identificare i tratti distintivi della cultura manageriale dell’azienda da trasmettere ai manager del futuro, e nel simulare i colloqui chiave, da quello del patto iniziale a quelli di supporto e apprendimento nel durante, fino all’incontro di valutazione reciproca finale. Altra accortezza fondamentale, quella di dare vita a una vera e propria “community” dei Mentor, che si riuniscono periodicamente durante il percorso, per scambiarsi esperienze e “trucchi del mestiere”, che ognuno impara sul campo, nell’esercitare il nuovo ruolo e nel gestire la relazione di Mentoring.
Uno dei leader a livello europeo nel settore aerospaziale.
L’Azienda ha voluto porre il focus sul know how tecnico detenuto da alcune figure di elevate competenze. In particolare, l’esigenza è quella di fare in modo che il loro know how venga trasmesso e condiviso con i colleghi, così da creare nuovi expert. Il progetto di Mentoring rientra in un quadro più ampio di knowledge sharing, diversity management e stimolo all’innovazione.
Ha preso il via un ciclo di workshop sul Mentoring rivolto ad alcune figure chiave, scelte in base all’alto profilo di competenze tecniche e alle capacità relazionali possedute. Il progetto, novità assoluta in Azienda, è stato accolto favorevolmente dalle persone, pur consapevoli di alcune criticità. E’ stata recepita l’opportunità di fare propri la cultura, il senso e la funzionalità della Mentorship, e di condividere il modello, il metodo e il linguaggio, anche attraverso un Mentoring Book.
E’ stata poi data la libertà alle persone di scegliere il progetto di Mentoring da portare avanti. I coordinatori di risorse hanno individuato processi di delega sempre più ampia a loro collaboratori su specifici progetti a carattere innovativo, i professional si sono dedicati a progetti di Reverse Mentoring, avvio di team multidisciplinari, creazione congiunta di repository per le best practices e progetti di peer education. Il passo successivo è stato un momento di confronto con il Vertice dell’Azienda sull’impostazione dei progetti avviati. Il progetto, ancora in corso, prevede dei momenti collegiali di confronto sui progressi ottenuti in itinere e una celebrazione finale dei risultati.
E veniamo all’ultima domanda:
Come sta evolvendo il Mentoring?
Fra i tanti fattori di cambiamento, abbiamo focalizzato la nostra attenzione su tre trend che stanno cambiando i paradigmi tradizionali della relazione di Mentoring:
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Lo spostamento del focus dell’azione dal Mentor al Mentee
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Il contemporaneo passaggio dalla relazione duale a una relazione a network, con e verso una molteplicità di attori
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Il ruolo delle nuove tecnologie web based, che trasformano il Mentoring in eMentoring e aprono le porte alle reti collaborative.
Per lo spostamento del “centro di gravità” verso il Mentee e la sua rete di “alleanze di Mentoring” è stato il libro di Mary Pender Greene, Creative Mentorship and Career-Building Strategies (2015) a fornirci nuovi stimoli.
Le basi teoriche di questa visione risalgono agli anni ’80 e al concetto di “Developmental Network”, sviluppato da Kathy Kram. La sua ricerca già dimostrava che le persone ricevono un supporto di Mentoring da una “costellazione” di relazioni di sviluppo, fatta da colleghi, collaboratori, amici e dagli stessi capi.
Anche Monica Higgins, della Harward University, ha condotto altre ricerche sulle “reti evolutive”, ed è il lavoro di queste due studiose che ha dato il fondamento teoretico alla metodologia VPOD di Mary Pender Greene. Questo acronimo sta per Virtual Personal Board of Directors.
La prima novità rispetto all’approccio tradizionale è che l’attore principale qui non è il Mentore, il detentore della fonte di sapere e saggezza, ma il Mentee. E’ lui che in qualche modo siede nella “stanza dei bottoni”, è lui che affronta e gestisce la propria carriera e il proprio progetto di vita e professionale esattamente come un “business”, il proprio business.
E’ sempre lui che si costruisce la rete dei Mentori più adatti alle varie necessità, che li invita, che sviluppa relazioni di scambio e di fiducia, che cambia i membri al cambiare delle circostanze e delle fasi di vita della propria carriera professionale.
La seconda novità è il passaggio da una relazione esclusiva tra Mentor eMentee, a una rete di relazioni multipla e multitasking. Certo, c’è sempre nel VPOD un “Chairman”, un Mentor di riferimento, ma accanto a lui convivono altre figure, ognuna caratterizzata da una specifica competenza, che può essere chiamata a fornire il proprio aiuto e consiglio in momenti e per decisioni diverse, esattamente come accade attorno al tavolo di un Board aziendale.
E’ così che compaiono le figure del “Professional guru”, del “Chief Technical Officer, del Chief Financial Officer, del Chief Political Analyst, del Chief Legal Advisor e dell’Ethics&Morals Officer.
La spiegazione di queste novità è ancora una volta nel radicale cambiamento del lavoro dei Professional, verso una maggiore volatilità e incertezza del “posto di lavoro”, che ha messo definitivamente in soffitta la tradizionale relazione a due, gerarchica e finalizzata alla crescita di carriera in una sola azienda. Per usare il linguaggio della stessa Autrice “rather than put all your eggs in one basket, a smarter approach to mentorship is diversify the process strategically to get a larger pool of skills, experiences, and knowledge”.
E’ da questo scenario che prende le mosse il nuovo Mentoring, fatto di reti collaborative, “costellazioni”, con un soggetto che si costruisce il proprio sviluppo e la propria carriera trasversalmente ai job e alle aziende che li offrono. La carriera verticale diventa una “Protean Career” con un chiaro riferimento al mai fermo e multiforme personaggio mitologico. La carriera in una sola azienda e in un solo mestiere diventa una “Boundaryless career”, sviluppata senza confini, attraverso più aziende e più mestieri diversi.
Troviamo qui il collegamento con un altro concetto, nuovo per l’Italia ma che negli USA è già prassi viva: il Tour of Duty. Il termine è stato coniato da Reid Hoffmann, uno dei fondatori di Linkedin che ben dipinge la rivoluzione in atto nel nuovo contratto psicologico fra azienda e persone, in particolare nel mondo delle Web-Companies, ormai simile a un fidanzamento continuo e non a un matrimonio stabile.
Nel Tour of Duty viene infatti meno il principio di un impiego e di una mansione stabile: il lavoro viene visto come una serie di task, di progetti: all’inizio azienda e persona si accordano sugli obiettivi e su quello che la persona deve portare a casa, per sé, per la sua professionalità e per l’azienda. Alla fine si tirano le somme e, se c’è un comune interesse, si riparte per un altro incarico, un altro progetto, “surfando” via via da un’esperienza ad un’altra, fintanto che i due partner hanno qualcosa da dirsi e da fare insieme, ma senza “obblighi” formali o altri vincoli.
E’ questa dimensione tutta individuale e centrata sul ruolo proattivo dell’individuo, creatore del proprio futuro a causa di un presente sempre più incerto e un futuro di difficile prevedibilità, che sta prendendo sempre più piede e che rappresenta verosimilmente la prospettiva del futuro.
E’una prospettiva che pone alle aziende una grossa questione: come catturare, come intercettare le traiettorie, le aspirazioni professionali e le competenze delle persone e dei talenti giusti per il futuro del proprio business.
E’ verso questi nuovi “trasvolatori degli spazi interaziendali” che le aziende dovranno cercare di esercitare tutta la loro forza “magnetica”, per riuscire ad essere, se non il loro “centro di gravità permanente”, perlomeno un momento importante ed attraente.
L’impatto della Rete
La possibilità di fruire di ambienti digitali dedicati ha una serie di vantaggi. Innanzitutto, consente alla relazione di Mentoring di svilupparsi in un ambiente svincolato da necessità logistiche e di spostamenti. La modalità face-to-face viene comunque garantita (sia pur con alcuni minus) grazie a sistemi di videocomunicazione (es. Skype, Facetime, e altri), consentendo anche di ampliare la relazione di Mentoring oltre il rapporto duale (es. con altri manager eventualmente coinvolti) e oltre i confini della città o della nazione “di origine”.
Le potenzialità digitali si estendono ulteriormente grazie a piattaforme social sempre più disponibili sul mercato, dove ciascuno può, sia dentro che fuori l’azienda, non solo interagire con il proprio Mentore, ma anche sceglierne uno fra una gamma di opzioni possibili.
Al tempo stesso, può sviluppare relazioni funzionali al raggiungimento di uno specifico obiettivo in logica Peer Mentoring: si impara fra pari, si scambiano e si condividono informazioni. Il Reverse Mentoring è implicito: “oggi ho chiesto e ottenuto da te informazioni che domani tu potresti chiedere e ottenere da me”. Il confronto fra generazioni analogiche e generazioni digitali ne è un esempio.
Come abbiamo visto, questo è lo scenario funzionale alla ricerca da parte della persona di ambiti di confronto e scambio con persone che hanno interessi e obiettivi simili.
Nel caso la persona abbia un suo obiettivo di apprendimento (anche parzialmente o totalmente svincolato dagli obiettivi assegnati dall’organizzazione), questi ambienti consentono sempre più di trovare soluzioni del tipo Select your Mentor and Learn with the Best.
Ciò consente alla persona di poter fruire di contenuti ed essere soggetto attivo del processo di apprendimento in ogni luogo e in ogni momento. Si annullano gli spostamenti da un luogo all’altro, non c’è necessità di reperire un ambiente fisico idoneo, con conseguenti minori costi organizzativi, di tempo e di energie.
Ecco che la persona diviene sempre più soggetto proattivo in autoapprendimento continuo, attraverso la selezione e l’elaborazione delle fonti che ritiene utili e importanti. Ciò le consente di costruire in autonomia il proprio percorso di sviluppo e di integrare le sue esperienze di apprendimento nei processi organizzativi o nella sua attività autonoma.
Contemporaneamente, in virtù di più sofisticate esigenze organizzative, relazionali e di mercato, anche le organizzazioni stanno diventando soggetti social, dando spazio ad ambienti partecipativi e a conversazioni generative fra colleghi, dove le persone fruiscono di community che esse stesse contribuiscono ad alimentare e a far evolvere.
Trasparenza, knowledge sharing e collaborazione diventano i fattori guida e il Mentoring è parte integrante di un processo di Social Learning e Social Transformation.
Rispetto al passato, queste evoluzioni di portata enorme sembrerebbero conferire meno “autorevolezza” al Mentor, che diventa in questo modo sempre più strumento di sviluppo della conoscenza: l’ambiente digitale rende ancora più friendly, informale e comparabile la relazione di Mentoring, associandola in qualche modo a un sistema di Peer Education.
D’altronde, web, digital e social sono aspetti che non vanno d’accordo con i livelli gerarchici. Fra i portati di questo gigantesco cambiamento si danno infatti per scontati l’abbattimento della gerarchia, la democrazia e la velocità degli scambi, la collaborazione, la partecipazion, la “leadership senza autorità”.
L’immagine di Mentore e Telemaco appare sempre più sfumata…
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