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Rubrica L’alfabeto del Cambiamento

F

come Formazione

La centralità del capitale intellettuale è da molti anni riconosciuta dall’Unione Europea come asset strategico dell’impresa che opera nel mercato globale.  L’Unione si riferisce chiaramente alla necessità imprescindibile di dare attuazione effettiva alla libertà di circolazione della conoscenza e rafforzare la ricerca, l’innovazione e l’istruzione per favorire la crescita economica e lo sviluppo dell’occupazione. Al capitale intellettuale viene attribuita in tutti gli Stati membri una valenza strategica nell’intero sistema economico e in quello delle imprese.  

Questo avviene grazie alla gestione e valorizzazione di una ricchezza, tanto intangibile quanto concreta, che incide oggi in misura rilevante sul raggiungimento degli obiettivi di un’impresa, sulla sua distintività e sulla sua longevità: la gestione e la condivisione della conoscenza. Un’impresa che non sviluppa costantemente conoscenza, e quindi in primis formazione, si chiude in se stessa e non crea le basi per lo sviluppo futuro. La leva formazione viene utilizzata nell’ambito tecnico (il cosa); ad esempio, per l’utilizzo di strumenti informatici o di un nuovo processo, di nuova procedura, o per l’applicazione di una nuova legge, per il miglioramento di una lingua straniera o per le tecniche di bilancio, per la formazione obbligatoria sulla sicurezza o l’antiriciclaggio, per conoscere e utilizzare un nuovo prodotto lanciato sul mercato, per sviluppare le competenze digitali, ecc.

Contemporaneamente, si fa ricorso alla formazione manageriale (il come) su skill cognitive, emotive, organizzative, relazionali o commerciali. Alcuni esempi sono il project managment, la negoziazione, la gestione del tempo, la comunicazione, la gestione per obiettivi, il problem solving, la leadership, la gestione del team, la gestione dei feed back e della performance, la gestione della relazione con il cliente e l’efficacia commerciale, ecc. La formazione si concentra tanto più sui comportamenti quanto più il bisogno dell’azienda si orienta verso le cosiddette “soft skill”, tanto apparentemente intangibili quanto in grado di toccare l’anima dell’organizzazione. Ad esempio, una formazione sui valori dell’azienda, su come le persone impattano sul cambiamento, su come poterle ingaggiare e motivare, come migliorare fattori sociali quali la cultura, il clima, la collaborazione, lo stress individuale e organizzativo, il “sentiment” delle persone, su aspetti comportamentali nel passaggio generazionale tra imprenditori o manager, sull’integrazione fra diverse generazioni, ecc.

La gamma delle opzioni non è certo completa, poiché la formazione ha uno spettro estremamente ampio. Una ricchezza enorme a disposizione delle persone. Se prima era necessaria, oggi, con i cambiamenti e la complessità con cui conviviamo, la formazione è indispensabile, ed evolve fortemente in relazione agli scenari che si modificano. La sua evoluzione più significativa è lo spostamento dall’insegnamento (qualcuno insegna e qualcun altro apprende) all’apprendimento (chi ha bisogni di apprendimento è l’elemento centrale, sul quale si costruisce l’architettura e i cosiddetti “learning objects”, cioè le unità e le risorse di apprendimento, i temi e le modalità).  Altri punti emergono:

  • il progressivo bisogno della persona di una maggiore autodeterminazione, in virtù dell’aumento dell’incertezza in cui vive, che la spinge a pensare e progettare in maniera più autonoma il proprio percorso professionale e dunque di apprendimento. Il sempre più scarso interesse verso chi “insegna” ne è la prova.

  •  la ricerca da parte della persona di comunità di riferimento, con fortissime istanze di confronto e scambio su come ciascuno affronta problemi e genera risultati, che trova negli ambienti 2.0, nelle connessioni in rete un ambiente funzionale; su internet si chiedono consigli e certamente qualcuno li dà, si cercano comunità di pratica e le si trovano. Su internet la persona gode ormai di una libertà infinitamente superiore a quella che sperimenta nel tradizionale luogo di lavoro.

  • a necessità di un apprendimento fortemente legato alla concretezza dei progetti, che richiede un approccio all’apprendimento che possa integrare le skill del pensiero analitico con quelle creative, progettuali e di sperimentazione;

  • la tendenza a ricercare ambienti e modalità di apprendimento più informali, originali e gradevoli, dove la persona possa approvvigionarsi rapidamente e piacevolmente della conoscenza di cui necessita. La pesantezza della nostra società e l’abuso di formazione basata sul noioso, vetusto insegnamento ha generato il bisogno di divertirsi, di cogliere stimoli nuovi con formule brevi. Il gaming e le nuove metodologie collaborative coaching style fanno progressi. 

Vanno poi tenute in considerazione le abitudini di fruizione delle informazioni.  Con le tecnologie che abbiamo a disposizione, l’apprendimento può oggi avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo, traendo vantaggio da un numero enorme di persone che, un tempo, non avrebbero potuto essere raggiunte.  L’apprendimento si sposta dal concetto della persona “convocata” a un evento formativo, alla persona protagonista del proprio percorso di apprendimento, che può proporre le tematiche di suo interesse, e se l’azienda non le consente di approfondirle, le cerca nella rete. Si afferma sempre di più la dimensione orizzontale della formazione: non più solo top down, calata dall’alto, magari alternata con approcci anche bottom up, che partono cioè dalle persone, ma anche da comunicazioni fra pari che si confrontano, ad esempio, su temi affrontati nel percorso formativo e che restituiscono all’azienda una nuova lettura degli argomenti trattati. 

Tutto questo comporta per la persona maggiore libertà ma anche maggiore responsabilità: in un contesto attivante, se la persona non si attiva sarà responsabile del suo non-apprendimento. A questo si aggiunge che lo sviluppo della cultura e delle competenze relazionali in ambito digital e social è un tema chiave soprattutto per i non-nativi digitali, e l’ambiente social creato in azienda (diversi sono gli esempi già realizzati in questo senso) solleciterà fortemente le persone in termini di iniziativa, visibilità, condivisione e collaborazione.

L’esperienza dimostra che uscire dai modelli di sempre e favorire una maggiore partecipazione fra le persone costituisce una sfida che diverse aziende fanno fatica a cogliere: l’arcaico bisogno di controllo non si attenua, e lasciare libere le persone genera ansia, diffidenza e scetticismo. E intanto aumentano gli interventi di formazione individuale. 

 

Al primo posto il Coaching, che si integra perfettamente con la formazione supportando il passaggio dalla comunità di apprendimento alla persona e al team.  In ascesa anche il Mentoring e il Reverse Mentoring, funzionali a gestire e integrare le diverse generazioni presenti in azienda, a non disperdere ma condividere la conoscenza.  Richiesto anche il Bilancio di Competenze, finalizzato a sostenere la persona nel “fare il punto” del proprio percorso di carriera in termini, sia di sviluppo, sia di riqualificazione o ricollocazione. 

Sia pur a fronte di investimenti crescenti nell’apprendimento a distanza, l’attività formativa in presenza mantiene ancora un ruolo preponderante.  La formula più apprezzata è quella del workshop: un laboratorio totalmente centrato sulla realtà concreta dei partecipanti, protagonisti e sperimentatori attivi dell’evento, supportati da un facilitatore (non più docente) esperto, che cura la “regia” della giornata. La massiccia somministrazione di slides è ormai finalmente messa all’angolo. 

Specchio della complessità, l’apprendimento si arricchisce con un’ampia gamma di approcci, tecniche e strumenti sempre più ricchi, con format partecipativi che favoriscono il coinvolgimento, la creatività, lo scambio e la collaborazione fra le persone, lo sviluppo di una cultura conversazionale e social. Sono premesse indispensabili per affrontare il passaggio successivo e imminente: la Digital Transformation, per la quale le imprese stanno cominciando ad attrezzarsi. Intanto, nelle aule di apprendimento sono entrate le app per fare sondaggi analizzabili e condivisibili in tempo reale, il community management on line, e non solo…

Perché l’Italia non continui a rappresentare il fanalino di coda nell’utilizzo della formazione in Europa - come purtroppo accade da molti anni - e superi il suo gap culturale, bisogna che si comprenda che non si tratta di un costo, ma di un investimento, e dev’essere un investimento di qualità alta.  A questo proposito, quante aziende sanno dell’esistenza dei Fondi Interprofessionali destinati alla formazione?  Si tratta di uno strumento, creato dalla Legge n. 388/2000, che consente alle aziende di fare formazione professionale continua ai dipendenti: un’azienda può scegliere di destinare una quota pari allo 0,30% dei contributi previdenziali che versa all’INPS per finanziarie iniziative pubbliche di formazione e aggiornamento dei lavoratori a cui poi far accedere i propri dipendenti.  Laddove l’azienda è di piccolissime dimensioni, si può unire ad altre piccole aziende, fare massa critica, presentare un progetto comune e ottenere fondi per finanziare progetti formativi. Ogni anno, quasi 1.000 imprese e circa 10 milioni di lavoratori beneficiano degli oltre 30.000 piani formativi approvati dai Fondi. Ma si può fare e ottenere molto di più.

Poiché il futuro è già entrato potentemente nelle nostre vite, occorre che ci si attivi senza indecisioni per individuare quella formazione specifica, concreta, in linea con gli obiettivi di cambiamento e di sviluppo, utile, efficace, stimolante e bella che possa aiutare le persone e le organizzazioni a fare la differenza nell’affrontare le sfide che il futuro ci ha già ampiamente mostrato.

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